mercoledì 9 maggio 2012

Mitologia del verbo tagliare, Grecia

MITOLOGIA GRECA
Nodo Gordiano
La tradizione leggendaria risale a un tempo in cui i Frigi erano privi di un legittimo re. L'oracolo di Telmisso, antica capitale della Frigia, predisse che il primo uomo ad entrare in città su un carro trainato da buoi sarebbe diventato il loro re. Il primo ad entrare in città guidando un carro trascinato da buoi, fu Gordio, un misero contadino, che, in conformità all'oracolo, fu nominato re dai sacerdoti. Questo era stato previsto in altro modo mediante un segno degli dei, ovvero un'aquila atterrata sul carro. In ringraziamento, suo figlio Mida dedicò il carro  alla divinità frigia Sabazio(che i Greci identificavano con Zeus) e lo legò inoltre a un palo, o ne assicurò la stanga con un intricato nodo di corteccia di corniolo. Il carro era ancora nel palazzo di Gordio appartenuto ai re di Frigia quando vi giunse Alessandro, nel IV secolo a.C., epoca in cui la Frigia era stata ridotta a satrapia dell'impero persiano.
Nel 333 a.C., mentre svernava nella città, Alessandro provò a sciogliere il nodo. Non riuscendo a venirne a capo, per scioglierlo, lo tagliò a metà con un colpo della sua spada, ottenendo comunque lo scopo, con la cosiddetta soluzione alessandrina. Tagliato il nodo, i suoi biografi affermano retrospettivamente l'esistenza di una predizione oracolare secondo cui, chi fosse riuscito a sciogliere il nodo, avrebbe avuto il potere sull'Asia.
Plutarco mette in discussione la pretesa secondo cui Alessandro avrebbe tagliato il nodo con un colpo di spada, e riferisce che, secondo Aristobulo di Cassandra, Alessandro lo avrebbe sfilato dalla staffa del carro, piuttosto che tagliato. Ad ogni modo, Alessandro andò alla conquista dell'Asia, fino al'Indo e all'Oxus, facendo, così, avverare la profezia.

Profezia delle Parche
Le Parche (in latino Parcae), nella mitologia romana, sono il corrispettivo delle Moire greche.
In origine si trattava di una divinità singola, Parca, dea tutelare della nascita. Successivamente le furono aggiunte Nona e Decima, che presiedevano agli ultimi mesi di gravidanza.
Figlie di Zeus e Temi, la Giustizia. Esse stabilivano il destino degli uomini. In arte e in poesia erano raffigurate come vecchie tessitrici scorbutiche o come oscure fanciulle.
In un secondo momento furono assimilate alle Moire (Cloto, Lachesi ed Atropo) e divennero le divinità che presiedono al destino dell'uomo. La prima filava il filo della vita, la seconda dispensava i destini, assegnandone uno a ogni individuo stabilendone anche la durata, e la terza, l'inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli dèi potevano cambiarle.
Venivano chiamate anche Fatae, ovvero coloro che presiedono al Fato. Le Parche appaiono anche nel film d'animazione Disney "Hercules" sotto forma di orribili vecchie. Esse possiedono un occhio per vedere passato, presente e futuro e un paio di forbici per tagliare il filo della vita esattamente come le Parche mitologiche.

Idra di Lerna
Il mito narra che l'Idra, che viveva nei pressi di Lerna, fu ucciso da Ercole durante la seconda delle sue fatiche. Non fu un'impresa facile: trovò l'orrenda belva mentre digeriva il suo pasto nella caverna e le tagliò tutte le teste. Per non cadere preda del suo fiato tremendo Ercole trattenne il respiro. Scoprì però che dal moncherino di ogni testa tagliata ne spuntavano istantaneamente altre due. Ebbe quindi un'illuminazione, e chiese aiuto al nipote Iolao: mentre Ercole tagliava le teste, Iolao dava fuoco al sangue della ferita, cicatrizzandola in modo che le teste non potessero ricrescere. L'ultima testa tuttavia era immortale e non servì nemmeno il suo nuovo stratagemma. Allora seppellì la testa e il corpo sotto un masso enorme.
Ercole bagnò la punta delle frecce nel sangue dell'idra, altamente velenoso, per rendere le ferite inflitte da esse inguaribili. Un'accidentale puntura con una di tali frecce provocò atroci sofferenze a Chirone, centauro amico e insegnante di Ercole, che essendo immortale non poteva morire e, per porre fine al tormento, donò la propria immortalità a Prometeo.


Mito delle metà, Platone
Platone narra nel mito dell’Androgino, contenuto nel Simposio, il motivo della ricerca di una persona con cui stare tutta la vita.
Vi era infatti un tempo in cui esistevano tre generi: Maschio, Femmina e Androgino, che aveva entrambi i connotati. Aveva una forma rotonda, perfetta, quattro gambe e quattro braccia e due teste. La spiegazione per questi tre generi era che il maschio discendeva dal sole, la femmina dalla terra e l’androgino dalla luna, che partecipa sia all’Idea del sole che della luna. L’androgino era felice, poiché completo.
Ma Zeus e gli Dei erano gelosi della loro felicità, e si riunirono a consiglio: non potendo annientarli come avevano fatto con i giganti, né lasciarli vivere a quel modo, Zeus decise di spaccarli in due. Avrebbero camminato eretti, su due gambe.
Ma quando l’organismo umano fu diviso in due, ciascuna metà cercava la propria e cercavano di tornare di nuovo insieme. E quando una metà moriva e l’altra restava in vita, questa ne cercava un’altra simile. Ma morivano così di fame e accidia.
Zeus allora, impietositosi, trasferì i loro genitali sul davanti, così da costituire per loro mezzo il processo di procreazione. In questo modo una volta appagati gli uomini sarebbero tornati al lavoro, permettendo quindi la sopravvivenza.
Ognuno di noi così è una metà dell’uomo tagliato. O della donna tagliata

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